Telfonia Telefonia mobile: tutela del consumatore-utente dalla lettura in chiave europea del Codice del consumo.(Commento a  Sent. Giudice di Pace di Genova,  procedimento R.G. 8982/2009).

Quanti di noi,  vittime di un disservizio,  hanno presentato un reclamo a cui non hanno ricevuto risposta o, quasi peggio, un commento standardizzato da parte di un burocratico Servizio Clienti in cui il Produttore esprimeva il proprio “dispiacere” ma, in concreto, nulla provvedeva.  Il fenomeno è più esteso di quanto si pensi (nel solo settore turistico, ad esempio,  sono circa 120.000 i reclami estivi degli italiani coinvolti in disservizi) e trova conferma nelle numerose sentenze dei diversi settori della giurisprudenza:  dalla Corte di Giustizia Europea che, ad es. di recente si e’ pronunciata in tema di inquadramento delle c.d. polizze vita “indexlinked” o “unitlinked” nel novero delle polizze vita, con le garanzie che ne derivano (sentenza 01-03-2012, C-166-11) in linea con l’affidamento del consumatore-sottoscrittore, alla Corte di Cassazione Italiana, ai Tribunali ed infine ai Giudici di Pace.

 

La sentenza in materia di telefonia del Giudice di Pace di Genova, avv. Claudio Cattani, di cui al procedimento R.G. 8982/2009, sebbene di contenuto economico “simbolico” (€ 96, quanto alle spese di riattivazione dell’utenza ed € 400 quanto al danno non patrimoniale)   si nota per gli aspetti di “qualità” dei rapporti tra produttore e consumatore che in essa sono trattati.

La questione, di per se apparentemente banale, sorge tra un consumatore, MB, che nonostante abbia provveduto all’acquisto di una carta telefonica pre-pagata si vede “tagliare” la linea dall’operatore V e ricorre per ottenere un risarcimento al Giudice di Pace, il quale non solo riconosce il risarcimento in se, (danno patrimoniale) , ma, anche, il risarcimento per il disagio e lo stress subito dal consumatore a causa dell’ingiustificato prolungato disservizio (danno non patrimoniale).
Il Giudice nell’iter logico-giuridico che porta alla pronuncia della sentenza  esordisce ricordando che la materia è regolata dal Codice del Consumo  (d. lgs. 06-09-2006) che determina una limitazione all’autonomia privata, tutelando il c.d. contraente debole. L’orientamento favorevole al consumatore si spiega in linea teorica con l’affidamento che quest’ultimo ha riposto, a parità di prezzo di altre offerte concorrenti,  negli ipotizzati maggiori benefici, prospettati dal produttore, derivanti  dall’acquisto di quel bene o servizio.

La pronuncia fa riferimento all’inefficacia delle clausole vessatorie presenti nel contratto ed invocate a discarico di sua responsabilità dal produttore-professionista e, viceversa, alla protezione accordata al consumatore dagli artt. 33,  34 ed in particolare, 36 (nullità di protezione) del Codice del Consumo che fa riferimento ad una nullità successiva alla stipula del contratto. Questo assunto è di notevole importanza poiché l’approccio tradizionale all’individuazione dei c.d. vizi del contratto, intanto considera le parti in posizione di equivalenza,  poi guarda alla formazione dell’accordo ricercando l’autentica volontà delle parti,  ma non al suo concreto divenire.

E’ probabile infatti che in fase di esecuzione del contratto l’insorgere di una qualche anomalia (prodotto o servizio difettoso) se da un lato richiede una soluzione “alla pari” che tenga effettivamente conto delle esigenze del consumatore in buona fede, di fatto può risolversi con una mancata efficace risposta che induce rassegnazione e abbandono della controversia o con  la soluzione “imposta” dal produttore.

E’ evidente la necessità di un cambiamento di passo nell’interpretazione dei contratti commerciali che tenga conto del passaggio epocale del secondo millennio: dalla “standardizzazione”  di matrice “fordista” alla “personalizzazione” del prodotto e del servizio propria dell’era della “information technology” che stiamo vivendo. L’inclusione del corretto contenuto informativo potrebbe condurre, come vedremo,  alla individuazione di un “nuovo” e più equo contratto. Il  produttore-professionista che nella fase di prevendita e vendita,  attraverso la pubblicità e l’organizzazione di vendita, anche avvalendosi di internet,  appare così vicino, flessibile, disponibile, erogatore di allettanti vantaggi, altrettanto inaccessibile, rigido, burocratico, e di dubbia convenienza,  può diventare nel post-vendita, quando il cliente-consumatore-utente riscontra difformità nell’uso del prodotto o nella prestazione di servizio.

Il Giudice ha nella sostanza stigmatizzato questo comportamento facendo riferimento ai più alti valori europei in materia di diritti delle persone e dei consumatori:  la tutela della buona fede e dell’affidamento del contraente debole. Tale riferimento non  assume più un valore “tendenziale”, cioè di auspicio a cui uniformarsi per il futuro, bensì  concretamente “riformativo”:  con immediato intervento sulla dinamica esecutiva del contratto. Il “principio di buona fede”  argomenta il Giudice “involge tanto il profilo soggettivo, per essere la condotta del contraente valutabile se viziata oppure no da errore o ignoranza di certi fatti o norme rilevanti, quanto il profilo oggettivo, avendo riguardo agli “obblighi di protezione” (compreso quello di informazione) …“. Tale obbligo è rimarcato dall’art. 36, comma 2, Codice del Consumo, che stabilisce, lett. C,  la nullità delle clausole che , quantunque oggetto di trattativa, abbiano per oggetto o per effetto di prevedere l’adesione del consumatore come estesa a clausole che non ha avuto di fatto la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto e, al comma 3,  la rilevabilità d’ufficio della nullità stessa da parte del Giudice.

Il Giudice assume in questa prospettiva un nuovo ruolo nella regolazione dei contratti commerciali e quindi dei rapporti economici cogliendo, in  interpretazione europeisticamente orientata  l’opportunità (dice il testo di legge che la nullità “può” essere rilevata) di intervenire nell’esecuzione del contratto determinando le prestazioni dovute dal produttore-professionista, in linea con le legittime aspettative pre-contrattuali del cliente-consumatore.  Si tratta di  un ruolo pro-attivo non solo di limitazione dell’autonomia privata,  quanto “precettivo” di “legal suasion”, nell’accezione anglosassone “as means to strengthen the position of collectivity” ,  nei riguardi del produttore-professionista che porta alla riforma del contratto in aderenza alle legittime aspettative  del consumatore.

Peraltro anche il nostro codice civile, letto in chiave di diritto europeo, presenta una norma:  l’art. 2932 (esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto) che, nella prospettiva di rendere efficace come detto in sentenza “la protezione della persona o del patrimonio di uno dei contraenti”, si presta, ad avviso di chi scrive,  all’ intervento giudiziale nel contratto. Si tratta di operare quel passo interpretativo che può  portare alla “personalizzazione” del contratto “standard”: a ben vedere tale contratto se affetto da clausole vessatorie, che si affiancano al gap informativo del consumatore, con riferimento all’art. 36,1,   può considerarsi,  anche nell’ambito dei contratti di somministrazione,  un contratto “preliminare” il cui “definitivo”  risulta come conseguenza sistematica di sviluppo ed integrazione giudiziale (possibilmente realizzata in via conciliativa)  del reale contenuto negoziale, espressione degli obblighi assunti dalle parti, secondo  diritto e buona fede.  ( V., in questa ottica,  Cass. 18050, Sez. II, 19-10-2012, che sancisce  a proposito:  La sostanziale identità del bene oggetto del trasferimento costituisce elemento indispensabile di collegamento tra contratto preliminare e contratto definitivo).  A ciò può provvedere il sistema normativo, europeo ed interno,  regolante i diritti della persona e la funzione sociale dell’impresa che risponde pertanto non solo sotto il profilo della responsabilità civile classica ma, anche, sotto il profilo della nuova “corporate social responsibility”.

Genova, maggio 2013
Avv. Salvatore Obino